Il nuraghe Diana– Quartu S.E.

Lungo la costa di Quartu Sant’Elena, in località Is Mortorius, si erge il nuraghe Diana.

Si tratta di un nuraghe complesso polilobato, che come rilevato dal Mibact Sardegna presenta “una caratteristica costruttiva non convenzionale: le pietre più grandi e di più difficile sollevamento, che di solito formano la base di questo genere di monumenti, sono collocate nella parte alta, mentre tre enormi blocchi monolitici creano il notevole portale d’ingresso “.

Dal volume “La Preistoria del Golfo di Cagliari” (2007), sono estratti i seguenti brani nei quali l’autore, l’archeologo Enrico Atzeni, descrive succintamente il monumento e l’area circostante:

“Lungo il ‘limes’ costiero nuragico che controlla il roccioso arco orientale del Golfo di Quartu Sant’Elena, il Nuraghe Diana di ‘Is Mortorius’ domina l’omonimo promontorio e le due contigue, protette baie sabbiose d’agevole approdo marittimo. Nell’ambito del Demanio Militare, l’area archeologica di pertinenza fu occupata, durante la seconda guerra mondiale, dagli impianti bellici e logistici della Batteria “C.Faldi” e per le emergenze a quota m. 35 sul circostante caos granitico ebbe sui ciclopici ruderi il sovraccarico di un fortino in cemento armato per gli avvistamenti, raggiungibile dal piano di campagna grazie ad un’erta rampa gradonata sul lato est. Risalgono agli anni cinquanta le prime segnalazioni e rilievi del monumento, nella sua strategica posizione di controllo delle rotte nuragiche del golfo ” … ” Liberati, con la gru, dalla mastodontica piramide di crolli che li occultava, all’esterno fino a un prudenziale anello di contenimento basale e all’interno fino allo sgombero dei vani a livello delle ultime utilizzazioni, i resti dell’antico edificio riemergono ora in gran parte, sullo schema di un nuraghe plurimo “a tancato”, epperò in un’armonica, più coerente e solidale formula architettonica, d’unitario impianto rispetto alla più frequente tecnica del corpo di fabbrica –mono-bicellulare- in secondaria aggiunta al Mastio primitivo. Si apprezza oggi, sull’equilibrata simmetria di un triangolo equilatero, l’articolato sviluppo di cortine e torri simmetricamente incentrate su un cortile semiaperto di pianta subquadrangolare, disimpegnante l’accesso principale dall’esterno, lungo un corridoio a garette in transetto, il passaggio alle tre torri voltate a ‘tholos’, l’accesso agli ancora inesplorati vani ricavati sulla cortina Ovest e, per singolari rampe di scale, sulle cortine Est e Sud-Est. Seppur fortemente degradato nelle sue apparecchiature murarie esterne, in misto d’opera subquadrata e poligonale, ma in buona solidità statica sui fondamenti e sui paramenti in elevato interno, il complesso offre nell’insieme dei contingenti dettagli edilizi un capolavoro d’ingegno costruttivo: prospetta il prosieguo dell’indagine archeologica ora a partire dalle quote superiori delle ultime frequentazioni di età romana, dappertutto a livello di fasi II-I sec. a.C., per le riaffioranti ceramiche di età repubblicana, già in strato di buona evidenza nella camera del torrione principale, purtroppo in parte raggiunto, nel dopoguerra, da un notevole scavo clandestino. Frammenti ceramici recuperati sulle discariche ‘dei tombaroli’ si attestano su fasi nuragiche al momento riconducibili, nella seconda metà del II millennio a.C., al Bronzo Recente”.

Tornando indietro nel tempo, in un passo della “Descrizione Geografica della Sardegna” di Giuseppe Cossu, datata 1799 ed estratta da un articolo pubblicato via web dal Gruppo Ricerche Sardegna, l’autore elenca una serie di torri costiere, tra loro in contatto visivo, che sorvegliavano la porzione sud orientale del Golfo degli Angeli, comunicando tra loro tramite appositi segnali.

Tra le torri l’autore indica quelle di Cala Sareina (Cala Regina), di Foggia Sicia (Torre Foxi), di S.Andrea (quasi completamente smantellata), di Carcangiolas ( la torre diruta e riversa in acqua sul litorale del Poetto) e infine la torre del Mortorio detta di Nuraxianna.

Proseguendo in direzione del Poetto sempre il Cossu segnala il rio Nuraxianna, che “serpeggia per vasta pianura incolta” e il rio Flumini con la sua foce “abbondante d’acqua”.

Capita di frequente che intorno ai monumenti più importanti e/o strategicamente rilevanti, fioriscano affascinanti racconti, e il nuraghe Diana non si è sottratto da questa consuetudine.

Si racconta che intorno all’anno mille (1004 o 1015) il famoso pirata Giacomo Mugahid al ‘Amiri, chiamato popolarmente Musetto, signore di Dena (e delle Baleari), assalì la Sardegna, catturando donne e bambini e compiendo indicibili stragi.

I re di Rum (impero bizantino) attaccarono e sconfissero a loro volta i mussulmani e da allora l’isola non subì più incursioni.
La leggenda vuole che Musetto avesse nascosto un inestimabile tesoro proprio nei pressi del Nuraghe Diana. Tuttavia, in seguito alla sua sconfitta, il pirata non poté più tornare a recuperare il bottino delle sue scorrerie.
In Sardegna rimase tuttavia la sua compagna, che si dice avesse passato il resto dei suoi giorni, scrutando il mare nella speranza del ritorno del suo amato. La donna venne chiamata dalla gente del posto “la Capitana”, e da questo appellativo pare prenda nome la nota località prossima al nuraghe.

Come succede in quasi tutte le storie di pirati, si sparse la voce di un tesoro nascosto in un pozzo ubicato nei pressi del nuraghe; ma tutte le frenetiche ricerche che ne seguirono furono ovviamente infruttuose, e col tempo svanì la leggenda del pirata Giacomo Mugahid al ‘Amiri, detto Musetto e del suo tesoro.

Le foto del nuraghe Diana sono di Andrea Mura – Nuragando Sardegna, Bibi Pinna e Lucia Corda.

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