Diversi anni orsono avevo casualmente rinvenuto sul web un’interessante scritto pubblicato dal professor Marco Piras (Meggen, Luzern März 2006), di cui riporto, qui di seguito, alcuni passi significativi:
“Dovendo preparare delle lezioni per un Master all’Università di Cagliari e riascoltando i nastri da me registrati in una campagna di rilevamenti fatti nel 1984, in territorio del Sulcis, sono incappato in un’intervista a un uomo di 96 anni di Santadi. Peraltro, proprio questa intervista, molto breve, non l’avevo mai utilizzata per i miei studi fonetici e fonologici in ragione della cattiva qualità del suono, sia perché pessima era la pronuncia dell’anziano, sia perché non sempre l’intervistato rispondeva a tono. Di conseguenza, mi ero limitato a condurre un discorso libero su quanto a lui piacesse, e tra le altre cose si era sbizzarrito nell’elencarmi insulti, bestemmie, invettive ecc. Tra le numerose varietà, riguardanti “su cunnu”, che mi aveva snocciolato e che in parte sono riportate qui sopra, una mi era completamente sfuggita e al momento non mi aveva, evidentemente colpito, forse proprio per la scarsa attenzione che avevo posto a questo informatore e per la scarsa attenzione che la mia ricerca poneva all’aspetto lessicale. Torradìnc in su cunn (..) perda. La pessima qualità della registrazione e della pronuncia, peraltro offuscata anche da un raschiarsi della gola, possono avvalorare una realizzazione torradìnc in su cunn e pèrda, “tornatene nella vagina di pietra”. Ma si potrebbe anche sentire un Torradinci in su cunn e sa perda (tornatene nella vagina della pietra). Anche l’ascolto proposto ad altri amici fonetisti non ha fornito altre possibili decifrazioni. Dopo qualche tempo, proprio riflettendo sulla bellissima pubblicazione della Gimbutas, mi ha colto improvvisa una fantasia, o meglio un’associazione di idee. “E se l’eventuale vagina di pietra (ammesso di avere decifrato correttamente la frase del vecchio) fosse la domu de janas o la tomba dei giganti, o entrambe le cose? Alla prima occasione che mi è stata data di tornare in Sardegna, pur non contando di trovare ancora in vita il mio informatore, dopo 20 anni, volevo, mediante domande dirette e indirette, provare ad avere conferme alla supposizione. Ho trovato l’unico figlio vivente del mio informatore, più che ottantenne, purtroppo non molto presente, sordo, e con fortissime difficoltà articolatorie. Avrei voluto fargli elencare le invettive in cui compare la parola cunnu che lui conoscesse, ma intanto non riuscivo a fargli capire ciò che io desideravo e, in ogni caso, era quasi una tortura farlo parlare. Non mi restava che procedere con riferimenti diretti all’invettiva sentita dalla voce del padre e, così, gli ho fatto sentire a tutto volume, la parte dove il padre parlava di “su cunn ‘e sa pèrda” se così era da intendersi. Gli ho chiesto se lui conosceva l’espressione su cunn ‘e ssa pèrda. Metodologicamente la cosa non è molto corretta, ma la condizione dell’informatore non permetteva altro. Lui assentiva. Gli ho ripetuto in sardo: suo padre diceva “su cunn’e sa perda”, lei lo ha mai sentito?” Lui continuava ad assentire. Gli ho chiesto “cos`è su cunn e sa perda?”. La persona ha accennato a un luogo lontano, ma non sapeva spiegare di più. Il figlio che assisteva senza interesse alla conversazione, quasi contrariato perché aspettava che me ne andassi, perché potesse finalmente sbrigare una qualche faccenda, mi disse che non ne avrei cavato nulla, e mi faceva capire che, poverino, il padre non era del tutto in sé “Léi ca non di òga suppa”, “Badi che non ne cava nulla”. Ma, alle mie insistenze, e con l’aiuto di questo figlio, ho capito che il vecchio voleva accompagnarmi in un qualche punto della campagna. Con la mia auto, indicandomi, quando necessario, dove dirigermi, siamo arrivati alla frazione di Terresòli e ai piedi di un poggio, in un punto in cui non si poteva proseguire in auto mi indicava una direzione. L’uomo non era in grado di fare più di pochi passi. Quindi impossibile farsi guidare. Di più non ne ho cavato. Ma, di fatto, in quella direzione è la località “Barràncu mannu” dove si trova una tomba dei giganti. Procuratomi una polaroid, il giorno dopo ho fotografato la tomba dei giganti e sono tornato dall’informatore che, evidentemente, aveva ancora una vista bastante a fargli riconoscere l’oggetto e alla mia domanda se quello fosse su cunn’e sa perda rispondeva con convinzione di sì. Tutto ciò non lo si ritiene assolutamente probatorio. Certo è che dovrebbe essere uno stimolo per i ricercatori a indagare in tal senso, in altre parti della Sardegna, sia quanto all’aspetto linguistico che antropologico in generale. g.v.
Le foto della tomba di giganti di Barrancu Mannu sono di: Nicola Castangia, Giovanni Sotgiu, Bibi Pinna, Marco Cocco, Sergio Melis e R.S.