Presentato a Cagliari lo studio “Sardegna, Nuraghi e PIL”. Il riconoscimento del valore universale che viene dall’Unesco potrebbe essere il salto di qualità: partendo dal turismo culturale, la civiltà nuragica può crescere sino a diventare una vera e propria “marca Sardegna”, che renda la nostra immagine riconoscibile in tutto il mondo, cambiando radicalmente il modello di sviluppo economico dell’isola.
Sono davvero clamorosi e sconfortanti alcuni dei numeri di partenza emersi dallo studio OC&C Eumetra. Qualcuno si sarebbe mai aspettato che – tra i turisti che questa estate si godevano il mare della Sardegna – quasi la metà (il 47% per la precisione) non avesse mai sentito nominare i nuraghi? E che ben il 30% di quelli che sanno dell’esistenza dei nuraghi non abbia nessuna intenzione di andare a visitarli? Purtroppo, questi numeri così impietosi sono la prova più evidente di quanto – almeno sino ad oggi – sia stata sbagliata la “narrazione al mondo” della straordinaria ricchezza potenziale della nostra civiltà nuragica, che sembra davvero un diamante chiuso in cassaforte, senza che quasi nessuno al mondo lo conosca e lo possa ammirare. Come stupirsi infatti dei numeri bassi di visitatori nei nostri monumenti nuragici (clamorose sono le slides di confronto del case study con altri siti italiani e mondiali) se quasi nessuno ne conosce l’esistenza? È evidente come diventi impossibile “vendere” ciò che nell’immaginario collettivo non è neppure percepito.
Da queste rilevazioni, niente affatto scontate nella drammatica dimensione dei loro numeri negativi per la Sardegna, parte dunque la parte positiva dell’analisi OC&C, che individua la necessità di azioni di promozione strategica, coordinate e consolidate nel tempo, per raggiungere il primo step del progetto di valorizzazione dei monumenti della civiltà nuragica, che può valere oltre un miliardo di euro per il PIL sardo, portando quindi circa 2500€ l’anno in tasca ad ogni famiglia sarda. È questo il calcolo che discende dall’incremento possibile (1..5-2 milioni di turisti all’anno) del flusso di visitatori di cui beneficerebbero maggiormente proprio quelle “zone interne” che oggi pagano il prezzo più alto della crisi economica e dello spopolamento.
Lo studio OC&C/Eumetra ha dunque innanzitutto il grande merito di introdurre per la prima volta in Sardegna il confronto su “nuraghi e PIL”, per dare sin d’ora numeri precisi che ben aiutano a capire come l’investimento di immagine sull’identità e sullo straordinario paesaggio nuragico della Sardegna possa portare ad un posizionamento di brand dell’Isola, che diventi finalmente percepibile nell’immaginario collettivo mondiale, con ricadute economiche che vanno ben oltre il settore turistico, diventando un moltiplicatore per il PIL in grado di generare benessere diffuso.
Entrando nel dettaglio dello studio OC&C/Eumetra, la valorizzazione del patrimonio nuragico, tra effetti diretti, indiretti e indotto, potrebbe generare una ricaduta potenziale sul Pil della Sardegna di oltre un miliardo di euro l’anno e potrebbe attirare 2 milioni di visitatori l’anno, in linea con i siti nazionali più attrattivi. E potrebbe sicuramente accrescere la conoscenza dell’antica civiltà sarda dato che appena il 10% di chi arriva in Sardegna visita i siti nuragici (per lo più sono turisti stranieri) mentre, come si è visto, il 47% del campione di intervistati non conosce neppure i nuraghi.
OC&C Strategy Consultant, che è una delle maggiori realtà mondiali di consulenza strategica specializzate nel turismo, parte dall’analisi dell’impatto economico delle attività turistiche che oggi in Sardegna generano oltre 3 miliardi di PIL. La Sardegna è tra le prime cinque regioni d’Italia per rilevanza in termini di valore aggiunto per residente. Il turismo incide per l’8.5% del PIL regionale rispetto al 4.9% dell’Italia. Le presenze toccano quota 16 milioni l’anno, seppur concentrate nei mesi estivi con tassi di saturazione stabili negli anni.
Lo studio sottolinea ancora come il contesto turistico in Sardegna, nelle sue dimensioni fondamentali, evidenzi condizioni favorevoli allo sviluppo del turismo culturale. Sono diversi i fattori a sostegno di questa tesi. La Sardegna è una delle mete più amate dagli italiani, più del 60% l’ha visitata. Il fatto che i soggiorni siano superiori ai 4 giorni per oltre il 70% dei turisti apre opportunità di escursione ed esplorazione dell’Isola. Inoltre il turista ama ritornare in Sardegna, con il 54% che ricade nella categoria dei turisti ripetitivi, mentre gli arrivi di turisti stranieri sono pari al 50%. Questi elementi creano le condizioni di base per costruire una stagione allungata.
Di fronte a questo scenario bisogna però fare i conti con la realtà attuale, fotografata in particolare da Eumetra, società italiana leader nelle ricerche sociali e di mercato: il tesoro dei Nuraghi è patrimonio di pochi, meno del 10% di chi arriva in Sardegna visita i siti nuragici, per lo più sono turisti stranieri. L’isola attrae un visitatore che ama le bellezze naturali del territorio, ma le visite ai siti archeologici restano sempre in bassa priorità. Tra le ragioni di questo limitato interesse per i siti archeologici c’è certamente la scarsa conoscenza del
bene, ma anche la scarsa attrattività dei siti. Il visitatore sarebbe incentivato a visitarli se trovasse migliori servizi di base tipici dell’offerta culturale come visite guidate (38%), centro informazioni, audioguide, mostre interattive. L’ampliamento dell’offerta di esperienze in loco sarebbe gradita e aiuterebbe ad amplificarne l’attrattività, ad esempio con escursioni a cavallo (31%); spettacoli culturali o eventi tradizionali (30%); offerte di cibo e bevande locali (24%); laboratori di archeologia (20%); escursioni a piedi (18%).
C’è poi il “fattore Unesco”. Oggi la Sardegna, con i suoi 377 Comuni, è unita nella richiesta presentata all’Unesco di inserire i nuraghi nella lista dei beni patrimonio dell’umanità. Ad aprile l’Associazione “La Sardegna verso l’Unesco” ha presentato al Ministero della Cultura il dossier progettuale propedeutico alla candidatura. Secondo lo studio, l’ingresso nell’Unesco può rafforzare in maniera notevole la propensione alla visita dei siti archeologici, ma da solo non basta. Il gap rispetto ai grandi siti storici e archeologici è troppo ampio. Se a Pompei arrivano 3.6 milioni di visitatori l’anno, ai Trulli di Alberobello 2 milioni, ai Sassi di Matera 1.9 milioni, i nuraghi si fermano a 400mila visitatori. Cogliere il potenziale inespresso, argomenta lo studio, è possibile. Ma serve un piano di investimenti all’altezza della sfida, un programma di lungo periodo con una regia chiara, la definizione di ruoli e attori chiave, il disegno del modello operativo di gestione dei siti, un piano di sviluppo economico, investimenti in comunicazione, uno studio dell’offerta base ed esperienziale per sito con iniziative sul territorio e lo sviluppo di pacchetti di eventi.
“Questo studio ci rafforza nella nostra determinazione ad ottenere il riconoscimento del valore universale dell’Unesco per i monumenti della civiltà nuragica” spiega Pierpaolo Vargiu, presidente dell’Associazione Sardegna verso l’Unesco. “La sfida è cambiare il percepito collettivo della Sardegna nel mondo. Abbiamo una civiltà paragonabile a quella dell’Antico Egitto e non abbiamo mai pensato a come raccontarla, anche per la naturale ritrosia di noi sardi. Abbiamo nuraghi che sembrano veri e propri castelli medievali, ma costruiti 1800 anni prima di Cristo, con una tecnologia incredibilmente evoluta ed omogenea, quasi che ci fosse un trasferimento costante delle conoscenze da un capo all’altro dell’Isola. Non esiste da nessuna altra parte del mondo un paesaggio che offra decine di migliaia di monumenti di epoca preistorica e protostorica che creano un contesto unico, da proteggere, conservare e valorizzare perché possa diventare un asset economico in grado di segnare la svolta nello sviluppo dell’isola. È arrivato il momento di aprire lo scrigno che abbiamo tenuto nascosto per troppo tempo per far conoscere un patrimonio che, senza aggiungere un mattone e nel pieno rispetto del paesaggio e del territorio, può portare un nuovo vento economico di sviluppo sostenibile nella nostra terra”.