“Il nuraghe Losa, fra i più noti dell’isola per essere uno dei più maestosi e meglio conservati, venne rilevato e illustrato nell’Atlante del Lamarmora (1840) e fatto oggetto di una prima serie di campagne di scavi, a partire dal 1890, sotto la direzione del Regio Commissario Filippo Vivanet e del suo assistente Filippo Nissardi. A quest’ultimo si deve anche il primo rilevamento integrale del complesso, effettuato nel corso dei lavori; le relative planimetrie e sezioni vennero pubblicate da Giovanni Pinza nel volume Monumenti primitivi della Sardegna, edito dall’Accademia dei Lincei nel 1901, la prima organica sintesi sulla preistoria e protostoria della Sardegna. Gli scavi vennero ripresi, fra l’aprile e il giugno del 1915, da Antonio Taramelli che mise in luce nuove strutture dell’abitato attigue alla fortezza, soprattutto nei lati Nord-Est e Sud-Ovest. Scarse notizie abbiamo, invece, dei materiali rinvenuti durante queste ricerche, sia in quelle Vivanet-Nissardi (che non furono mai pubblicati) che in quelle del Taramelli: in entrambi i casi, pur essendo diversi oggetti regolarmente esposti nelle vetrine del Museo di Cagliari, si dovrà attendere la metà degli anni ’50, per una prima disamina preliminare ad opera di Giovanni Lilliu (LILLIU, 1955), e molto di più per avere una prima documentazione grafica (SANTONI, 1988, 1990) ed uno studio dei reperti più significativi ad opera di chi scrive e di altri Colleghi (Losa I; Losa II). Una serie di interventi di scavo, consolidamento e restauro, eseguiti da Ferruccio Barreca, con l’ausilio dell’assistente Giuseppe Lai, ziu Peppinu, negli anni 1970-71 e 1975-76, hanno consentito di rendere il monumento pienamente fruibile al pubblico. A partire dagli anni 1989-90, nuove campagne di scavi – dirette da chi scrive, con la collaborazione di P.B. Serra e G. Bacco – hanno fornito nuovi elementi relativi ai quadri di vita materiale che hanno interessato il sito nel corso dei secoli…”
(brano di Vincenzo Santoni tratto da “Sardegna Archeologica”, collana di guide e itinerari edita da Delfino Editore)
Le immagini in bianco e nero sono tratte dal citato volume. Le foto a colori sono di Andrea Mura-Nuragando Sardegna, Bibi Pinna, @Marco Secchi Fotografia e Diversamente Sardi.