Nel 2006, sui “Quaderni di Darwin” era stato pubblicato un articolo di Alberto Moravetti di cui proponiamo l’”incipit”:
“La scoperta di Monte d’Accoddi risale ai primi anni Cinquanta del secolo scorso e avvenne nell’ambito di un più ampio programma di interventi promossi dalla ancor giovane Regione Autonoma della Sardegna, mirati sia alla ripresa delle attività di ricerca interrotte a causa delle vicende belliche sia per favorire l’occupazione in quei giorni difficili del dopoguerra che nell’isola tardava a concludersi. Il progetto prevedeva l’apertura di alcuni importanti cantieri archeologici: due erano previsti nel meridione dell’isola e almeno uno nel nord.
Per i primi la scelta era caduta sul complesso nuragico di Barumini, ora patrimonio dell’umanità nella lista dell’Unesco, e quindi sulla città punica di Nora, mentre per il terso sito archeologico l’intervento fu voluto dal “palazzo” e in particolare dall’allora ministro della Pubblica Istruzione, un sardo che sarebbe divenuto poi presidente della Repubblica.
Infatti, il professor Antonio Segni, insigne studioso di diritto ma anche appassionato di archeologia, si era persuaso che una misteriosa collinetta che sorgeva in un terreno adiacente a una sua proprietà, a una decina di chilometri da Sassari, altro non fosse che un tumulo etrusco o qualcosa di simile, e per questo ne aveva caldeggiato lo scavo e caldeggiato il finanziamento.
Per realizzare questa impresa occorreva tuttavia un archeologo, cosa non semplice in quegli anni in quanto per la tutela di un territorio vastissimo la Sardegna poteva contare su una sola Soprintendenza alle Antichità, con sede a Cagliari, e su due funzionari archeologi.
Fu pertanto necessario richiamare dalla Soprintendenza di Bologna, ove prestava servizio, un giovane archeologo sardo –Ercole Contu_ destinato a diventare soprintendente alle Antichità per le province di Sassari e Nuoro e ora professore emerito di Antichità Sarde all’Università di Sassari.
Contu racconta di essere tornato nell’isola malvolentieri: infatti era convinto che il cosiddetto “tumulo” altro non fosse che la rovina di uno dei tanti nuraghi, circa settemila, che caratterizzano il paesaggio isolano e che sono numerosi nella Nurra, la regione storica ove sorgeva la collina di Monte d’Accoddi.
Ma gli scavi rivelarono che tutti, archeologi e no, si erano sbagliati.
Infatti le indagini dimostrarono che la collina non solo non nascondeva alcun nuraghe ma era stata prodotta dalle rovine di un eccezionale e finora unico monumento preistorico, molto più antico dei primi nuraghi. Purtroppo, per la sua posizione dominante in un territorio per lo più pianeggiante, l’altura venne prescelta durante l’ultima guerra per impiantare agli angoli delle batterie contraeree che hanno gravemente danneggiato gli strati superiori del monumento.
L’esplorazione di Monte d’Accoddi è avvenuta in due periodi distinti, con un intervallo di circa vent’anni: tuttavia l’indagine è ben lontana dal considerarsi conclusa.
Agli inizi, come si è detto, l’indagine era volta a definire la natura e il significato di una modesta collinetta, chiaramente artificiale, denominata Monte d’Accoddi che, unica e isolata, si elevava ancora per circa 6-7 metri rispetto al piano di campagna su un’ampia piana calcarea.
I primi scavi, diretti da Ercole Contu, ebbero inizio nel 1952 e proseguirono sino al 1958.
In questi anni vennero alla luce una costruzione tronco-piramidale preceduta da una lunga rampa, un menhir, due tavole d’offerta, un settore del villaggio e altri importanti elementi culturali dispersi per largo tratto intorno al santuario.
In questi stessi anni vennero poi individuate le numerose e importanti necropoli e grotticelle artificiali –ipogei che nella tradizione popolare sono noti come “domus de janas” (case delle fate)- che quasi a ventaglio si dispongono con i relativi villaggi intorno al santuario preistorico a indicare un territorio fittamente abitato. Dopo circa vent’anni, dal 1979 al 1989, i lavori furono ripresi ed estesi da Santo Tinè, dell’Università di Genova, al quale si devono nuove e significative scoperte che hanno meglio chiarito la funzione della struttura riportata alla luce dagli scavi precedenti, ribadendo con nuovi dati l’interpretazione di luogo di culto già proposta da Contu.
Inoltre, nel corso di questi ultimi interventi sono state individuate fasi edilizie distinte e si è realizzato il restauro e una parziale e controversa restituzione del monumento.”…
Le foto dell’altare di Monte d’Accoddi sono di Gianni Sirigu, Andrea Mura-Nuragando Sardegna e Francesca Cossu. Quelle delle omonime domus de janas sono di Giovanni Sotgiu.