Esiste una ragionevole analogia tra il prospetto della stele centrale delle tombe di giganti di tipo dolmeico e la sezione di un apparato genitale femminile, tenuto peraltro conto che il profilo planimetrico di diverse TdG può assimilarsi, secondo un’opinione piuttosto diffusa, al grembo materno. I piccoli betili spesso presenti in prossimità del “portello” di base, venivano verosimilmente utilizzati per mimare atti di copulazione nel corso di cerimonie connesse alla rigenerazione della vita ed alla fecondità. Lo stesso portello, generalmente di ridotte dimensioni e quindi inadatto al transito delle persone e delle salme da inumare, assumerebbe quindi un significato simbolico analogamente all’intera stele, con la porzione superiore a rappresentare il “rotondo dell’utero” (reciso), la sezione rettangolare sottostante la fascia “utero- vaginale”, mentre la sezione più ampia riprodurrebbe la vagina con alla base il “vestibolo”. E’inoltre singolare osservare come esista una forma di pane della tradizione denominato “Su Càbude” di Mores, la cui forma richiama proprio una stele centrale delle tombe dei giganti (Nella seconda immagine sono raffigurati due pani tradizionali, la stele centrale di una tomba di giganti e una sezione uterina).
Questo pane, descritto e illustrato da Salvatore Dedola nel suo libro “I pani della Sardegna”, veniva solitamente frantumato sulla testa del figlio maschio o, in una versione del tutto simile chiamata “affesta”, sbriciolato sul capo “della figlia che va in sposa”, e addirittura nel campo o nell’ovile “quale gesto di buon auspicio per i futuri raccolti e le future figlianze”.
Tanto premesso, mi son chiesto se il significato che mi è parso di individuare nei vari elementi delle TdG dolmeiche e più in generale nella loro complessiva struttura potesse rilevarsi anche in quelle del tipo ciclopico, come quelle de “Is Concias” a Quartucciu e di “Mura Cuada” a Paulilatino, che non presentano alcuna stele centrale ma solo l’apertura inferiore (a Is Concias è ben visibile anche un piccolo betile a fianco del portello di base).
Ho potuto ottenere una conferma, per quanto labile, di questa ipotesi, dalla lettura di una nota che otto anni fa avevo casualmente rinvenuto sul web, pubblicata da Marco Piras (Meggen, Luzern März 2006), della quale riporto, qui di seguito, alcuni passi significativi: “Dovendo preparare delle lezioni per un Master all’Università di Cagliari e riascoltando i nastri da me registrati in una campagna di rilevamenti fatti nel 1984, in territorio del Sulcis, sono incappato in un’intervista a un uomo di 96 anni di Santadi. Peraltro, proprio questa intervista, molto breve, non l’avevo mai utilizzata per i miei studi fonetici e fonologici in ragione della cattiva qualità del suono, sia perché pessima era la pronuncia dell’anziano, sia perché non sempre l’intervistato rispondeva a tono. Di conseguenza, mi ero limitato a condurre un discorso libero su quanto a lui piacesse, e tra le altre cose si era sbizzarrito nell’elencarmi insulti, bestemmie, invettive ecc. Tra le numerose varietà, riguardanti “su cunnu”, che mi aveva snocciolato e che in parte sono riportate qui sopra, una mi era completamente sfuggita e al momento non mi aveva, evidentemente colpito, forse proprio per la scarsa attenzione che avevo posto a questo informatore e per la scarsa attenzione che la mia ricerca poneva all’aspetto lessicale. Torradìnc in su cunn (..) perda. La pessima qualità della registrazione e della pronuncia, peraltro offuscata anche da un raschiarsi della gola, possono avvalorare una realizzazione torradìnc in su cunn e pèrda, “tornatene nella vagina di pietra”.
Ma si potrebbe anche sentire un Torradinci in su cunn e sa perda (tornatene nella vagina della pietra). Anche l’ascolto proposto ad altri amici fonetisti non ha fornito altre possibili decifrazioni. Dopo qualche tempo, proprio riflettendo sulla bellissima pubblicazione della Gimbutas, mi ha colto improvvisa una fantasia, o meglio un’associazione di idee. “E se l’eventuale vagina di pietra (ammesso di avere decifrato correttamente la frase del vecchio) fosse la domu de janas o la tomba dei giganti, o entrambe le cose? Alla prima occasione che mi è stata data di tornare in Sardegna, pur non contando di trovare ancora in vita il mio informatore, dopo 20 anni, volevo, mediante domande dirette e indirette, provare ad avere conferme alla supposizione. Ho trovato l’unico figlio vivente del mio informatore, più che ottantenne, purtroppo non molto presente, sordo, e con fortissime difficoltà articolatorie . Avrei voluto fargli elencare le invettive in cui compare la parola cunnu che lui conoscesse, ma intanto non riuscivo a fargli capire ciò che io desideravo e, in ogni caso, era quasi una tortura farlo parlare. Non mi restava che procedere con riferimenti diretti all’invettiva sentita dalla voce del padre e, così, gli ho fatto sentire a tutto volume, la parte dove il padre parlava di “su cunn ‘e sa pèrda” se così era da intendersi. Gli ho chiesto se lui conosceva l’espressione su cunn ‘e ssa pèrda. Metodologicamente la cosa non è molto corretta, ma la condizione dell’informatore non permetteva altro. Lui assentiva. Gli ho ripetuto in sardo: suo padre diceva “su cunn’e sa perda”, lei lo ha mai sentito?” Lui continuava ad assentire.
Gli ho chiesto “cos`è su cunn e sa perda?”. La persona ha accennato a un luogo lontano, ma non sapeva spiegare di più. Il figlio che assisteva senza interesse alla conversazione, quasi contrariato perché aspettava che me ne andassi, perché potesse finalmente sbrigare una qualche faccenda, mi disse che non ne avrei cavato nulla, e mi faceva capire che, poverino, il padre non era del tutto in sé “Léi ca non di òga suppa”, “Badi che non ne cava nulla”. Ma, alle mie insistenze, e con l’aiuto di questo figlio, ho capito che il vecchio voleva accompagnarmi in un qualche punto della campagna. Con la mia auto, indicandomi, quando necessario, dove dirigermi, siamo arrivati alla frazione di Terresòli e ai piedi di un poggio, in un punto in cui non si poteva proseguire in auto mi indicava una direzione. L’uomo non era in grado di fare più di pochi passi. Quindi impossibile farsi guidare. Di più non ne ho cavato. Ma, di fatto, in quella direzione è la località “Barràncu mannu” dove si trova una tomba dei giganti. Procuratomi una polaroid, il giorno dopo ho fotografato la tomba dei giganti e sono tornato dall’informatore che, evidentemente, aveva ancora una vista bastante a fargli riconoscere l’oggetto e alla mia domanda se quello fosse su cunn’e sa perda rispondeva con convinzione di sì. Tutto ciò non lo si ritiene assolutamente probatorio. Certo è che dovrebbe essere uno stimolo per i ricercatori a indagare in tal senso, in altre parti della Sardegna, sia quanto all’aspetto linguistico che antropologico in generale.
Le foto della tomba di giganti di Barrancu Mannu a Santadi sono di Giovanni Sotgiu e Sergio Melis. Quelle della tomba di giganti de Is Concias a Quartucciu di Valentino Selis e Nuragando. La foto della tomba di giganti di Mura Cuada a Paulilatino è di Marco Cocco.