Spero mi sia consentito, di tanto in tanto, allontanarmi dall’età dei nuraghi per divagare tra le antiche tradizioni popolari.

“Stando all’ipotesi più accreditata ‘sas accabbadòras’ erano donne che intervenivano negli ultimi momenti della vita umana inducendo ai moribondi la ‘bòna morte’.

Nella fattispecie questa forma di ‘eutanasia ante litteram’ era riservata a quelle persone colpite da una lunga agonia, che si fossero trovate nell’impossibilità di intraprendere un trapasso sereno o quanto meno rapido. Tuttavia non si attribuisca all’aggettivo ‘bòna’ il significato di ‘priva di cattiveria’, ovvero calma, amabile, propizia, giusta, bella, gradevole o socialmente elevata, bensì quello di ‘utile’, necessaria ad alleviare le sofferenze del moribondo e, dall’altra parte, il dolore nonché il gravoso impegno da parte dei parenti nei confronti del moribondo medesimo.

Quindi ‘bòna morte’ intesa non soltanto come atto pietoso nei confronti del moribondo, ma anche come atto egoisticamente necessario alla sopravvivenza dei superstiti”.

Queste considerazioni sono contenute nel risvolto di copertina del libro di Alessandro Bucarelli e Carlo Lubrano “Eutanasia ‘ante litteram’ in Sardegna” (Scuola Sarda Editrice – 2007)*.

In un altro passo del libro si legge che “Secondo diversi autori l’’accabadùra’ fu esercitata sino alla fine del XVIII secolo, ovvero, sino a quando, anche a causa delle pressioni esercitate a vari livelli sociali, prese il sopravvento una consapevolezza diversa.

Nel vissuto culturale le cose maturarono molto più lentamente. Stando a quanto riferito dai testimoni indiretti, tra gli ultimi episodi di ‘accabadùra’ registrati in Sardegna, uno avvenne a Luras, nel 1929, ed un altro in Barbagia, verosimilmente a Orgosolo, addirittura nel 1952.

L’episodio di Luras appare molto significativo, perché oltre a far luce su uno degli altri ‘doveri di carità e di solidarietà’ di cui si è parlato in precedenza, conferma alcune delle nostre ipotesi: l’ultima ‘fèmina agabbadòri’ (così era chiamata in Gallura), che ‘aiutò’ a morire un uomo di 70 anni, era l’ostetrica del paese. Il dato è denso di metafora: la donna che aiutava a venire al mondo era anche quella che chiudeva una vita divenuta insopportabile.

I carabinieri e il Procuratore del Regno di Tempio Pausania furono concordi nel riferire l’atto ad un contesto umanitario, la donna non fu condannata e il caso fu archiviato”.

 

Come molti sapranno, il Comune di Luras ospita l’interessante “Museo etnografico Galluras” altrimenti noto come “il museo della Femina Agabbadora”, in cui è conservato “su mazzolu”, il martello in legno di olivastro con cui si procurava la morte al sofferente e altri oggetti funzionali al “rituale magico” del trapasso.

Tra questi è presente ‘su jualeddu’, un piccolo giogo di grande contenuto sacrale che veniva posto sotto il cuscino del moribondo perché lo aiutasse a “ritornare alla vita”, considerato che la sua esistenza era essenzialmente incentrata sul lavoro dei campi.

“Su jualeddu”, in particolare, richiama quel concetto di rigenerazione della vita che ha caratterizzato lo spirito religioso delle nostre antiche popolazioni.

Ne sono testimonianze materiali le domus de janas, tombe ipogeiche neolitiche rappresentative del ventre materno, metafora di rinascita, ma anche i dolmen, sepolture megalitiche tipiche del nord Sardegna e precipuamente della Gallura.

L’archeologa Angela Antona scrive a questo proposito (“I Tesori dell’Archeologia”): “ Si deve forse alla forte componente megalitica del substrato culturale gallurese se queste grotticelle artificiali (le domus de janas), emblema della successiva ‘Cultura tardo-neolitica di Ozieri (3200-2800 a.C.), restano quasi estranee alla Gallura.

In loro vece, a caratterizzare l’aspetto funerario di questa cultura è il dolmen, presente in una cinquantina di esemplari sui 215 diffusi quasi esclusivamente nella Sardegna centro-settentrionale.

Di essi quattro sono situati nel territorio di Luras.

Si tratta dei dolmen di granito di Alzoledda, Billella, Ciuledda e Ladas…per quelli luresi va evidenziata la valenza anche agricola dei siti nei quali si collocano.

Oltre a quella funeraria , è molto probabile che sia da riconoscere a questi monumenti anche una funzione ‘politica’, come segno di demarcazione del territorio pertinente alle singole comunità residenti, tra di esse indipendenti…”   g.v.

*Alessandro Bucarelli (1944-2005) ha tenuto a lungo la cattedra di Antropologia Criminale e di Criminologia all’Università di Cagliari e negli ultimi anni ha diretto l’Istituto di Medicina Legale presso l’Ateneo Sassarese. Carlo Lubrano è specialista in Medicina Legale e delle Assicurazioni, oltre che autore di pubblicazioni scientifiche, comunicazioni congressuali e opere letterarie.

In allegato: La camera da letto riprodotta nel museo etnografico Galluras di Luras e “su mazzolu” custodito nello stesso museo; i dolmen di Ladas e Alzoledda nelle foto di Andrea Mura- Nuragando Sardegna; il dolmen  Billella (ph. Francesca Cossu); dolmen Ciuledda (ph. Romano Stangherlin).